sabato 17 gennaio 2015

FATE L'AMORE NON GUARDATE HOMELAND





« Immagino che sarò sempre molto vulnerabile, lievemente paranoica. Ma sono anche maledettamente robusta e resistente. E felice come una pasqua. » 
(Diari, Sylvia Plath) 


Sono stanca, nervosa, esausta, vagamente depressa e ricerco l'antitesi tra le mie parole e quella di Sylvia Plath. Le ho riportate perché hanno un po' la stessa funzione di Bar Refaeli appiccicata sulla porta del frigo: ricordarmi chi voglio essere e chi non devo permettere a me stessa di essere, così non mi faccio i crostini con la maionese, così non spalmo nutella su ogni superficie piana disponibile, così non scongelo l'orrenda pizza surgelata che vendono qui in Spagna quando magari ho un po' di verdure avanzate dal giorno prima. Con l'unica differenza che io non ho veramente Bar Refaeli appesa alla porta del frigo.

Lo farei anche, ma la mia coinquilina non la prenderebbe bene, voglio dire, il suo fidanzato per Natale le ha regalato una bilancia di quelle ipertecnologiche (RIPETO: UNA BILANCIA), associata anche ad una App mefistofelica per prefiggersi degli obiettivi alimentari con la conta delle calorie e dei grammi persi giorno per giorno, con l'augurio di un 2015 in cui entrambi avrebbero potuto perdere peso insieme, mostrandosi vicendevolmente i risultati ottenuti. Elena (accento sulla seconda e), la coinqui, mi è venuta a svegliare la mattina di Natale, con i capelli ancora nel panico, la scia di bava sulla guancia e il segno del cuscino sulla faccia, per lamentarsi del regalo di quel tonto del culo, chiedendomi consiglio su cosa fare. Ovviamente non ha accettato la mia proposta di mettere un annuncio su EBay (ci tengo a sottolineare che quello strumento di tortura sta sui centocinquanta euro, robe da pazzi) e di spendere il ricavato in cibo cinese fritto da asporto. Lei, che è una donna astuta, invece, ha ringraziato sentitamente e poi ha dato Jon in pasto ai suoi amici quando questi le hanno chiesto che idea romantica avesse avuto per il gentil presente. Adesso lo perseguitano pubblicandogli sul profilo Facebook frecciatine sui peggiori regali del mondo e lui vuole organizzare un viaggio a Praga e Budapest per farsi perdonare.

Adesso sono qui, alle due di notte, mi mangiucchio le unghie, con i piedi freddi dentro ai calzini antiscivolo, mentre ascolto da Spotify una playlist a caso sui più grandes éxitos del momento, senza saper distinguere tra una canzone e l'altra di Ariana Grande, arrabbiata, livorosa, rancorosa. Mi sento sola. Questo Erasmus si è rivelato diverso da come lo immaginano tutti - e da come sostanzialmente lo immaginavo anche io: sto spesso chiusa in casa per giorni, non mi piacciono le persone che pensano solo a sfondarsi di alcol e droghe, non ho trovato nessuno con cui condividere più di due chiacchiere, l'unico che sembrava essere diverso me lo sono fatta scappare. Me lo sono fatta scappare perché è francese, è bello, è interessante, fa surf, fa skate, gira l'Europa con uno zaino sulle spalle, conosce i vini, sa i nomi delle stelle e le sa trovare nella porzione giusta di cielo, legge quanto me, scatta delle meravigliose fotografie, dà giudizi lapidari che sarebbero offensivi se non fossero pronunciati in quello spagnolo da capra che parla ("Woody Allen è un regista che va bene solo per le signore delle pulizie!") e vede il mondo con gli occhi di un bambino. Io sono fidanzata, però, e anche se questo fattore non ha mai influenzato direttamente il nostro rapporto - che si è sviluppato principalmente in contesti di gruppo - ho sempre avuto il timore di chiedergli dei rendez-vous più privati, terrorizzata dalla possibilità che lui ricevesse il messaggio sbagliato, ossia quello di un inciucio tipicamente Erasmus-style che solitamente termina la domenica mattina nuda in un letto singolo con un estraneo a rubarti lo spazio vitale. Quindi ciao ciao Théo, ci rivediamo nella prossima vita in cui sarò abbastanza coerente con me stessa da poter provarci con te senza provarci davvero e in cui potremo attraversare tutte le strisce pedonali di Bilbao saltando mano nella mano per calpestare solo le zone dipinte di bianco senza dovermi sentire in colpa. Nel frattempo faccio la spola tra il quartiere in cui vivo e la biblioteca centrale, scribacchio, faccio liste, faccio ricerche sul mio lavoro per Storia Contemporanea, provo a studiare per gli altri due esami imminenti, periodicamente apro il frigo nella speranza che qualcuno acquisti del latte fresco e lo trasporti per magia nel mio scompartimento, guardo una puntata dopo l'altra di Homeland, piango a dirotto per la fine della terza serie (...) (non mi sono ancora ripresa, capitemi), pianifico il mio ritorno a casa, pianifico la prossima partenza, pianifico il giorno in cui spiccherò il volo.

Ho capito tantissime cose di me stando lontana dalla casa dei miei genitori, e mi sono anche affezionata a questo spazio tutto mio in cui il tempo scorre alla velocità che io decido, ma non vedo l'ora di veder spuntare la testa di mia madre dalla cornice della porta che mi chiede "ma stai studiando?" con la faccia di chi sa perfettamente che non è così.

Meglio farsi abbracciare e coccolare un po' da Morfeo, adesso.